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La Dissidenza Postmoderna

La Dissidenza Postmoderna

IL POSTMODERNISMO

Abbiamo già avuto modo di incontrare il termine di “dissidenza”, laddove cercavamo di dare corpo ai nuclei tematici oppositivi tipici del movimento modernista, in un articolo precedente: tuttavia è solo attraverso un altro sguardo che la “dissidenza” può trovare la sua vera dimensione. Se la dissidenza in seno al modernismo operava secondo le sue stesse dicotomie ontologiche, la dissidenza postmodernista opera togliendo ogni significato alle diverse opposizioni poiché rifiuta la possibilità di rivolgersi ad una verità ultima, superiore a tutte le altre – mette anzi in discussione l’esistenza in termini assoluti di ideali quali la razionalità, l’oggettività o il progresso. Secondo Lyotard[1], tale dissidenza ha origine dal “dissidio”, nucleo generativo del postmodernismo: se cioè con dissidio si intende “il caso in cui l’attore è privato dei mezzi per argomentare e diviene perciò una vittima”, rendere giustizia di tale dissidio – operando cioè una dissidenza – significa “istituire nuovi destinatari, nuovi significati, nuovi referenti, in modo che la vittima abbia modo di esprimersi e l’attore cessi di essere una vittima”. Il postmoderno diviene così l’esplicitarsi di un sapere fondato su un conflitto, distanziandosi infatti da quel sapere moderno “canonizzato” e paradigmatico e strutturandosi in una “non-struttura”: è un sapere “che è ancora e sempre in via di sistemazione, che si cerca sempre attraverso il rinvenimento di nuove regole, ma anche attraverso la modifica identitaria dei soggetti di ricerca[2]. Il postmodernismo si configura così come un panorama multiprospettico, nondimeno conflittuale, fondato sulla “crisi delle grandi metanarrazioni[3]” e caratterizzato da mutevolezza, eclettismo, relativismo, soggettivismo e nichilismo.

“Digital Concrete” by Severino Canepa

Tutti questi caratteri riflettono il nuovo orientamento che le società globalizzate del mondo occidentale assumono a partire dagli anni ’60, in un contesto influenzato fortemente dalla crescita incontrollata dei media (dalla televisione fino agli smartphone di oggi). La proliferazione tecnologica di schermi, infatti, dà vita non solo alle realtà virtuali identitarie, createsi a partire dall’avvento dei social-network, ma anche alla mercificazione del corpo e alla spettacolarizzazione delle merci, in altre parole a quella realtà-simulacro descritta da Jean Baudrillard[4] e intesa come “significante privo di significato”. I diversi dispositivi mediali tendono a localizzarsi sempre più capillarmente nel tessuto sociale invadendone gli spazi e modificando sempre di più il loro statuto: la conseguenza di questa “invasione” alimenta in modo evidente le spinte postmoderniste che finisco per rinunciare, nella loro espressione artistica, a riferirsi al mondo esterno in favore di un ripiegamento su di sé (“l’arte che cita l’arte”). Se da un lato questa tendenza dà voce al senso di disorientamento che prova l’individuo di fronte al disfacimento della realtà intesa come univoca, solida e oggettiva, dall’altro evidenzia come la stessa società tenda a frammentarsi sempre di più passando dall’essere costituita da collettività sociali, all’essere composta di “atomi individuali lanciati in un assurdo movimento browniano[5]. In seno a questo cambiamento strutturale c’è la globalizzazione, causa prima della formazione di una società decentrata e fortemente interconnessa, in cui tuttavia non vi è un vero scambio di idee, ma piuttosto una continua rinegoziazione di simulacri di idee – rappresentazioni autoreferenziali di chi le scambia.

È in questo contesto che prende vita il film “Matrix” (1999) di Andy e Larry Wachowski. La trama ruota attorno a Thomas Anderson, alias Neo, programmatore di giorno e hacker di notte, che scoprirà a sue spese la verità riguardo alla realtà simulata, prodotta dalle macchine, che fino a quel momento stava vivendo – cioè Matrix. Investito dell’autorità di essere <l’Eletto> dovrà porre fine al conflitto tra macchine e uomini nella realtà non codificata, e liberare questi ultimi dalla schiavitù. “Matrix” è l’exemplum del disorientamento dell’uomo davanti alla pervasività dei media e della tecnologia; è lo svelamento evidente della realtà-simulacro[6], portata alla metafora estrema, descritta da Baudrillard[7] ed è di conseguenza anche il rifiuto a riferirsi al mondo esterno, al “naturale”, in quanto condizione simulata dell’esistenza; è, nell’analisi di Lyotard[8], la ricerca del sapere non solo attraverso il rinvenimento di nuove regole, ma proprio attraverso “la modifica identitaria dei soggetti di ricerca” in quanto lo statuto stesso della realtà risulta alterato e non attendibile; è, in ultima analisi, la rappresentazione diretta della “crisi delle grandi metanarrazioni” – o della grande metanarrazione del reale, che le racchiude tutte – in quanto l’intero sistema ideologico su cui si fonda perde ogni significato: basti pensare alla possibilità di Neo di contravvenire al principio di gravità, sotto indicazione di Morpheus in una delle scene del film. Proprio la “dissidenza” rispetto al sapere sistemico unitario, tipico del modernismo, spinge i registi a metterne in evidenza un altro aspetto: la conoscenza, nella realtà simulata di Matrix, così come il possesso di particolari oggetti, avviene mediante una codifica e una decodifica in linguaggio informatico – lo stesso titolo “Matrix”, derivante dal latino, ha significato di “matrice”, laddove assume il significato di forma, origine o radice con cui si modellano oggetti di vario genere da riprodurre in uno o più esemplari, ma anche di figura matematica volta a sintetizzare e rappresentare un insieme di numeri su cui operare. Proprio grazie alla lettura di questa matrice, è possibile di fatto accedere all’impostazione contenutistica, tipica dei sistemi informatici e di “Matrix”, definita database: un deposito virtuale in cui vengono conservati elementi sempre diversi, non legati necessariamente da rapporti causali, ma osservabili mediante la logica dell’accumulo. Tale impostazione tradisce la natura della conoscenza della società, come è sempre stata argomentata dai modernisti: non può più essere gestita, a livello semantico, su base sintagmatica o causale – al cui vertice vi è una causa prima o una verità prima di ogni altra – ma deve essere interpretata alla luce della sua paradigmaticità e della sua molteplicità di piani, non essendo più possibile leggere la realtà secondo un criterio univoco.

Illustration by Eloise Heinzer

Nel postmodernismo infatti non è più possibile parlare di Struttura – intesa nel suo significato classico ed in riferimento alla configurazione di un insieme in rapporto ai concetti di distribuzione ed organizzazione – mentre emerge prepotentemente un nuovo concetto: quello di Differenza, descritto da Laruelle[9] come il concetto-chiave che “designa la simultaneità della scissione e dell’identità, la distanza positiva che immediatamente unisce, senza negatività né dialettica, i contrari”. È importante sottolineare come tale differenza sia non contraddittoria, non dialettica e non contraria all’identità o dialetticamente identica all’identità: tutte queste caratteristiche confluiranno in uno dei concetti cardinali del postmodernismo, il Rizoma di G. Deleuze e F. Guattari[10]. Scrivono che “il rizoma è una modificazione del fusto con principale funzione di riserva (…) con decorso generalmente orizzontale”, non ha una crescita arborescente come l’albero – struttura tipica del pensiero classico, di cui Deleuze e Guattari sottolineano anche la natura repressiva – e presenta alcune caratteristiche fondamentali tra cui il principio di connessione ed eterogeneità (“qualsiasi punto di un rizoma può essere connesso con qualsiasi altro punto, e deve esserlo”), il principio di molteplicità (“le molteplicità sono rizomatiche e denunciano le pseudomolteplicità arborescenti” – le molteplicità si oppongono all’unità e si ottengono non aggiungendo dimensioni, ma sottraendo quell’uno che darebbe unità alla molteplicità) e il principio di rottura asignificante (a differenza delle strutture, che si scompongono in segmenti dotati a loro volta di informazione strutturale, “un rizoma può essere rotto in qualsiasi punto e riprenderebbe a seguire una delle sue linee”). Tale rappresentazione confluisce parzialmente in un’altra opera dei fratelli Andy e Larry Wachowski, la serie erogata su Netflix “Sense8” (2015-2018). La vicenda è legata ad un gruppo di otto persone che scoprono, loro malgrado, di essere collegate telepaticamente e che dovranno fronteggiare una serie di antagonisti e di difficoltà. In primis è molto interessante notare come i registi citino apertamente altre opere di natura fantascientifica, elaborando poi il tema in maniera personale: se gli episodi finali di “Sense8” sono focalizzati sulla domanda ricorrente “Cosa significa essere umani?”, è impossibile non ritrovarvi un’eco del dilemma che si poneva lo stesso Rick Deckard di “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” e “Blade Runner”, “Cosa distingue un uomo da un replicante?” – tradotto qui in “Cosa distingue un uomo da un senziente?”. Tali senzienti, grazie alla telepatia, possono condividere gli uni con gli altri conoscenze, capacità ed anche riflessi motori: presentano quindi, come il Rizoma, un decorso orizzontale (in quanto non vi è un membro sopra gli altri), e seguono il principio di connessione ed eterogeneità (in quanto tutti i membri del gruppo sono connessi e devono esserlo)[11]. Possiamo a questo punto dire che la figura del Rizoma sia entrata nell’immaginario collettivo, permettendo così di dare un’interpretazione ad un mondo in costante mutamento, che si trova oggi più che mai a dover interagire con una realtà virtuale e mediale totalmente pervasiva: leggere di fatto il Web come una rappresentazione rizomatica permette non solo di coglierne le potenzialità intrinseche, ma anche di avviarne quell’interpretazione ontologica che – come vedremo nel capitolo dedicato all’amodernismo – aprirà la strada alla nuova narrazione dominante della società, la naturalizzazione della tecnologia, e a nuove, insospettabili, forme di conoscenza.


NOTE

[1] J.F. Lyotard, il dissidio (1985), Feltrinelli, Milano, p. 26 – 30

[2] J.F. Lyotard, La condizione postmoderna (1979), Edizioni Universale Economica Feltrinelli (2019), p. 110-111

[3] Sono “metanarrazioni” gli ideali universali contemplati dal modernismo (quali la razionalità, il progresso,etc), in quanto all’interno del loro racconto viene inserito un racconto di secondo grado; una metanarrazione è in sostanza una narrazione all’interno di una narrazione.

[4] J. Baudrillard, Simulacri e impostura (1981) a cura di M.G. Brega, Pgreco, 2008

[5] J. Baudrillard, All’ombra delle maggioranze silenziose (1978), Nuova Cappelli, Bologna

[6] Curiosità: il volume di Baudrillard Simulacri e impostura (1981), su richiesta dei registi Andy e Larry Wachowski, fu fatto leggere a gran parte del cast e della crew affinché comprendessero appieno le tematiche portanti del film che stavano girando. Non solo, all’interno dello stesso film sono rilevabili molti riferimenti diretti al volume tra cui: “Simulacri e simulazione” è il libro, all’inizio del film, dentro cui Neo nasconde dei software illegali, oppure Morpheus, uno dei personaggi conscio dell’esistenza di Matrix, si riferisce al mondo delle macchine come al “deserto del reale”, nello script originale, addirittura citando apertamente Baudrillard.

[7] J. Baudrillard, Simulacri e impostura (1981) a cura di M.G. Brega, Pgreco, 2008

[8] J.F. Lyotard, La condizione postmoderna (1979), Edizioni Universale Economica Feltrinelli (2019)

[9] F. Laruelle, Philosophies of Difference: A Critical Introduction to Non-Philosophy (1986), Continuum, New York

[10] G. Deleuze, F. Guattari, Millepiani. Capitalismo e schizofrenia (2003), Castelvecchi, Roma

[11] Non è possibile parlare del principio di molteplicità in quanto il gruppo di senzienti non è formato da individui atomizzati, ma da una collettività che tende all’unità; e non è possibile parlare rottura asignificante in quanto sottraendo un membro al gruppo, il gruppo perderebbe le specificità apportate dal soggetto modificando parzialmente la sua “struttura”.

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