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L’alterità della “Cosa”

L’alterità della “Cosa”

Androidi, robot, cloni ed altri mostri

Il tema della “Cosa” investe in modo evidente il corpo – dell’alterità del corpo che non appartiene al soggetto e diventa immediatamente altro da sé – nella misura in cui viene modificato, plasmato, lavorato e a cui si dà forma e vita. Attraverso le sue personificazioni nell’Ottocento e nel Novecento è possibile riconoscere la “Cosa” come un’entità opposta e contrapposta all’essere umano, che contemporaneamente reclama una sua propria modalità vivente, in una specularità quasi sempre inquietante e mai priva di significato. Questa figura è una proiezione dinamica dell’immaginario collettivo in quanto permette di definire anche delle opposizioni gnoseologiche – care al modernismo – volte a legittimare e giustificare un intero apparato ideologico (umano/non-umano; naturale/artificiale; etc). La “Cosa”, il “mostro” è la personificazione allora di una minaccia che investe l’uomo, sulla base di un annientamento culturale prima che fisico. Sono idiosincrasie che prendono piede a partire da alcuni importanti cambiamenti a livello sistemico: da un lato, lo sviluppo tecnologico e scientifico nella prima metà dell’Ottocento modifica profondamente lo statuto della conoscenza, sulla scorta positivista, annientando ogni dottrina metafisica; dall’altro lato si configurano nuovi paradigmi di sapere che indagano a tutto campo le varietà biologiche, cercando di standardizzarne la “normalità” e dibattendo sul nesso che lega vita e corpo. È la grande rivoluzione epistemologica del darwinismo, che pone essenzialmente l’uomo alla stregua di qualsiasi altra creatura: l’uomo, a differenza della scimmia o dell’insetto, semplicemente si è adattato meglio – sulla scorta di una facoltà di retroazione mnemonica importante, tradottasi nella psicodinamica dell’oralità[1] e successivamente nell’invenzione della scrittura, con tutto ciò che essa comporta[2]. L’immaginario mitologico della “Cosa” e le riflessioni di natura biologica darwiniane confluiscono allora in moduli narrativi precisi che, in assonanza con il periodo in cui vengono formulati, rispondono ad una classificazione dualistica ed antitetica – ma pur sempre dialogica – volta a rispondere del “selvaggio dolore di essere uomini”[3].

[A] L’opposizione organico/inorganico

La commistione tra spinte evoluzionistiche darwiniane e immaginario della “Cosa” (i cui caratteri orrorifici sono tipici della cultura romantica[4]) è il cuore semantico di un testo assai noto: “Frankenstein” (1814) di Mary Shelley. La “Cosa”, in questo quadro culturale, si afferma prepotentemente come soggetto narrativo, incarnando da un lato l’ambizione della scienza nelle sue più alte velleità generatrici – cui compito primo, in un’ottica positivista, è sottrarre il primato di Dio agli uomini – e dall’altro la ricerca sperimentale che vorrebbe definire in modo univoco il passaggio da inorganico (non ancora vivente) a organico (vivente). È un tema che la fantascienza cinematografica contemporanea ha avuto modo di sviluppare in chiavi molto diverse: se “Prometheus” (2012) e “Alien: Covenant” (2017) di R. Scott – ma anche “Blade Runner” (1982) di R. Scott, “Splice” (2009) di V. Natali, “Ex Machina” (2015) di Alex Garland o “Morgan” (2016) di L. Scott – citano in modo evidente “Frankenstein”, riflettendo sul rapporto tra creatore e “creato” alla luce della sopravvivenza del più “forte” (o meglio, del più adatto); gli sviluppi di manipolazione genetica citati in “Womb” (2010) di B. Fliegauf o “Gattaca – La porta dell’universo” (1997) di A. Niccol tendono invece a rinunciare all’alterità della “Cosa” nel suo carattere primordiale, preferendo concentrarsi sugli effetti di “annientamento culturale prima che fisico” derivanti dalle idiosincrasie che l’opposizione uomo/non-uomo crea. L’affermazione dell’alterità, tuttavia, non può sempre disegnarsi in un quadro di controllo: è questo il caso dell’invasione aliena[5] che, rappresentando in chiave metaforica il rapporto dell’uomo con il non-uomo, cambierà molto i suoi connotati nel corso del Novecento – trasformandosi da un’ostilità legittimata dal colonialismo [“La guerra dei mondi” (1953) di B. Haskin], ad una minaccia millantata, ma inesistente, come nei film “E.T. l’extra-terrestre” (1982) di S. Spielberg, “Super 8” (2011) di J. J. Abrams o “The Abyss” (1989) di J. Cameron. Sempre fuori dal quadro di controllo, è anche la produzione della “Cosa” quale conseguenza sistemica di eventi distruttivi operati dall’uomo: l’esempio classico di questo filone è certamente “Godzilla” (1954) di Ishirō Honda, il cui protagonista è un kaijū[6] creatosi a causa dei bombardamenti nucleari effettuati sul Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale.

[B] L’opposizione senziente/non-senziente

Illustration by bulo

Con la forte spinta all’industrializzazione di ogni frangente sistemico, tipica della fine dell’Ottocento, si osserva anche un’importante svolta nell’immaginario della “Cosa” – ora non più interrogata solo sulla base di un principio generativo, ma anche “generante”: sente in modo autonomo? È intelligente? Può avere coscienza di sé? È l’evoluzione di un pensiero che, strutturandosi intorno alle neonate idee moderniste, vuole ora sondare non solo la natura dell’alterità, ma anche le sue capacità. L’inorganico è sostituito dal meccanico, l’organico dal naturale: la “Cosa” prende i panni del robot, dell’androide e si definisce sulla base di un rapporto servo-padrone, mai accettato del tutto – seppur varato in misura globale dalle tre Leggi della Robotica[7] di I. Asimov. Il cinema contemporaneo ha inscenato più volte e in modi diversi i paradossi che crea l’intelligenza artificiale (nella sua duplice accezione di automa con sembianze umane e di A.I. come macchina pensante) soprattutto sulla scia della letteratura di Asimov: in primis il robot “sente” e ha discernimento come nel film “L’uomo bicentenario” (1999) di Chris Columbus – che preferisce soffermarsi sul significato della coscienza in un principio di auto-conservazione pacifico (tramite un riflesso in cui l’uomo stesso può specchiarsi). Allo stesso modo l’androide dimostra non solo di elevarsi al di sopra del paradigma servo/padrone, sulla base di un’auto-comprensione retroattiva, ma anche di potersi “evolvere” seguendo principi biologici propri e reclamando così una sua propria “modalità vivente”: è questo il caso di “Automata” (2014) di Gabe Ibáñez. Tradisce questo spirito anche l’antesignano “2001: A Space Odyssey” (1968) di Stanley Kubrick in cui, in una delle possibili chiavi di lettura dell’opera, emerge con forza l’idea di un’evoluzione creatrice destinata a far prevalere il più forte, su base darwiniana: come l’intelligenza artificiale HAL infatti afferma “utilizzo le mie capacità nel modo più completo; il che, io credo, è il massimo che qualsiasi entità cosciente possa mai sperare di fare». La “macchina pensante” adopera così sull’uomo un potere attrattivo enorme: è, come creazione, un simulacro dei processi di conoscenza umani, ma allo stesso tempo la sua singolarità si fonda su una natura non riconducibile a dettati precostituiti, a rigide norme di comportamento. L’orizzonte semantico in questo caso è vagliato da “Lei” (2013) di Spike Jonze, in cui l’intelligenza artificiale è anche intelligenza relazionale e può instaurare una vera e propria storia d’amore con l’uomo; e dal già citato “Ex Machina” (2015) di Alex Garland che sottolinea, con sguardo horror, come questa stessa intelligenza relazionale prima che artificiale, fatta a corpo, possa diventare conflittuale e manipolatrice – sulla base del principio di sopravvivenza.

[C] L’opposizione sensibile/non-sensibile

Sarà in concomitanza con la fase di vaporizzazione tecnologica[8] che l’immaginario della “Cosa” – moltiplicato nelle sue forme sulla base della sua alterità e della sua capacità – vedrà un’ulteriore spinta in avanti. Il robot, l’androide, ora, non solo rivendica una coscienza ed una “sua propria modalità vivente”: questi statuti trasformano profondamente anche gli stessi paradigmi umani, sulla base di un confronto che incrina l’apparato ideologico cui si era affidato. È il ribaltamento della prospettiva, il ripiegamento su di sé, il panorama soggettivo dell’individuo che deve rispondere della sua umanità: è l’innesto di domande, finora appannaggio della “Cosa”, nei costrutti conoscitivi umani. Exemplum di questa tendenza sono “Io, robot” (2004) di Alex Proyas – trasposizione cinematografica dell’omonima antologia di I. Asimov (1950) – e “Blade Runner” (1982) di R. Scott – trasposizione cinematografica del testo “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” (1968) di P. K. Dick. – in cui l’uomo, contrastando la “dissidenza” androide/replicante, si trova costretto a mettere in dubbio tutte le credenze cui si era sempre affidato, arrivando al punto di non potere più definire con certezza la differenza tra l’uomo e “l’altro”. Questi innesti conoscitivi troveranno la loro incarnazione in veri e propri connubi corporei, ibridazioni, contaminazioni: è il caso di “Robocop” (1987) di Paul Verhoeven, “Terminator” (1984) di J. Cameron o del più recente “Ghost in the Shell” (2017) di Rupert Sanders. È la consacrazione del cyborg[9], in cui si assiste alla fusione/sovrapposizione del corpo naturale organico al corpo artificiale: è difficile non riscontrare in questa figura, una metafora chiara della spinta dei media verso una sempre più massiccia pervasività sociale, a discapito della loro individuabilità. Gli apparati tecnologici si fondono con gli apparati sociali, contaminandoli, rendendosi invisibili, così come allo stesso modo il corpo artificiale entra in quello naturale “snaturandolo” – o forse rendendolo solo ancora più umano.


NOTE

[1] W.J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola (1986), Il Mulino

[2] A. R. Lurija, Storia sociale dei processi cognitivi (1976), Firenze, Giunti-Barbera.

[3] P.P. Pasolini, Poesia in forma di rosa (1964), Garzanti, Gli Elefanti, 2001

[4] Il Romanticismo è quel movimento, o corrente di pensiero, che – in reazione all’Illuminismo e al Neoclassicismo, cioè alla razionalità e al culto della bellezza classica – contrappone la spiritualità, l’emotività, la fantasia, l’immaginazione, e soprattutto l’affermazione dei caratteri individuali d’ogni artista. Nuclei fondanti di tale corrente sono la teorizzazione dell’assoluto (come spinta percepita e vissuta straziantemente dal soggetto, costretto in uno stato eterno d’infelicità), il concetto di sublime (descritto come i sentimenti di straniamento e di terrore provati dall’individuo nella contemplazione dell’infinito) e la tensione verso questo assoluto (“Sehnsucht” dal tedesco). Altre componenti teoriche costitutive si riscontrano nel nascente nazionalismo (in opposizione all’universalismo illuminista), nell’esotismo (o fuga dalla realtà verso luoghi ameni appartenenti al passato) e nella riscoperta di una religiosità intimista (in opposizione al rifiuto di ogni dogma previsto dall’Illuminismo).

[5] Senza stare a citare tutti i film che trattano apertamente l’argomento, che sarebbero certamente troppi, si faccia riferimento al capostipite “La guerra dei mondi” (1953) di B. Haskin, antesignano del genere, e a cui S. Spielberg si ispirò per realizzare il remake omonimo.

[6] Cit. Wikipedia: “I kaijū (letteralmente “strana bestia”) sono una specie di mostri tipica della fantascienza giapponese: nati a partire dal dopoguerra, sono figure ispirate all’era atomica. Sovente, infatti, sono le radiazioni nucleari le vere protagoniste, essendo a loro imputate le mutazioni genetiche responsabili della nascita di questi mostri. Questi mostri e la mitologia ad essi associata hanno anche costituito l’origine di altre serie televisive e cinematografiche di ispirazione postatomica, dai super sentai fino ad arrivare ai mecha, inaugurando di fatto un vero e proprio genere”.

[7] Le tre Leggi della Robotica stabilite nella narrativa di science-fiction di Isaac Asimov recitano: 1) un robot non può recare danno a un essere umano, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno; 2) un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purchè tali ordini non contravvengano alla Prima Legge; 3) un robot deve proteggere la propria esistenza, purchè questa autodifesa non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.

[8] La fase di vaporizzazione tecnologica (1980 – ad oggi) definisce la nascita dei media digitali ed è caratterizzata da due fenomeni che hanno portato alla fine dei cosiddetti mass media ed alla de-individuazione dei dispositivi: da un lato la moltiplicazione esponenziale dei canali di erogazione; dall’altro la “ri-utilizzazione” in modo inedito di precedenti reti di comunicazione opportunamente modificate (è questo il caso di Internet o del protocollo TCP/IP).

[9] A. Caronia, Il cyborg. Saggio sull’uomo artificiale (2008), Shake, Milano

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