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Nasce la Science-Fiction!

Nasce la Science-Fiction!

LE ORIGINI

Non è facile stabilire con esattezza l’origine di quel fenomeno letterario, prima, e cinematografico, poi, chiamato science-fiction, o fantascienza, in quanto le posizioni stesse degli studiosi tendono ad essere molto eterogenee sul tema. È possibile, tuttavia, individuare alcuni caratteristiche che ai suoi albori hanno contraddistinto la fantascienza come commistione e superamento di alcuni generi letterari, quali la letteratura gotica ed il racconto utopico di stampo universalista. Il romanzo gotico, sviluppatosi a partire dalla seconda metà del Settecento, presenta una matrice romantica[1], il cui nucleo generativo è ravvisabile nel concetto di Sublime – per Burke “tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile o che riguarda oggetti terribili, o che agisce in modo analogo al terrore[2] in opposizione antitetica al concetto di Bello; allo stesso modo, il racconto utopico – nato con “La Repubblica” di Platone e seguito da “L’Utopia” (1516) di T. Moro, “La città del Sole” (1623) di T. Campanella, ed anche “La nuova Atlantide” (1627) di F. Bacone – è descritto come un assetto politico, sociale e religioso che non trova riscontro nella realtà, ma che viene proposto come ideale e come modello.

Sarà nell’Ottocento romantico che “Frankenstein” (1818) di M. Shelley modificherà profondamente lo statuto della narrativa, anticipando di qualche decennio le prospettive moderniste ed ergendosi a spartiacque tra la narrativa fino a quel momento conosciuta e la neonata science-fiction: già nella prefazione Shelley prende le distanze dalla letteratura gotica, sottolineando con forza quanto la storia, seppur basata su eventi straordinari e impossibili, si sforzi di conservare, sulla scorta degli studi scientifici del tempo, la verità dei principi elementari della natura umana[3]. È, in poche parole, il manifesto dello sguardo moderno secondo cui la verità delle conoscenze scientifiche può essere l’unico osservatorio dal quale vagliare e studiare le passioni umane: M. Shelley introduce così, anche nel campo dell’utopia, una chiave decisiva per definire il genere fantascientifico sulla base di un principio di verità che non può più scindersi dalla narrazione della sua controparte scientifica – un romanzo di science-fiction è allora, nell’ottica di Carlo Pagetti[4]quel romanzo che assorbe in sé elementi significativi della letteratura precedente (il racconto di viaggi straordinari, il trattato utopico), ma li utilizza per esplorare i confini che dividono/collegano l’ordine supremo delle leggi scientifiche e la follia delle ipotesi e della loro applicazione alla realtà quotidiana, la rigorosa speculazione scientifica e le confuse aspettative e paure dell’uomo comune, la più accanita veridicità che il linguaggio narrativo può esprimere e la più assoluta finzione che attraverso di esso si può raggiungere”.

La fantascienza inizia così a definirsi intorno a questo carattere primigenio, il cui motore resta inevitabilmente il processo tecnologico[5]: con la forte spinta all’industrializzazione di ogni frangente sistemico e culturale tipica della seconda metà dell’Ottocento e la conseguente nascita di tecnologie invasive rispetto alle spazio sociale, inizia a modificarsi anche il modello di società che ne è alla base, e con esso si scardinano i moduli narrativi che fino a quel momento l’avevano raccontato. È l’avvento del modernismo e di quella serie di opposizioni mitiche e inconciliabili, di cui la fantascienza – nella sua fase iniziale, che durerà fino agli anni ’40 del Novecento – cercherà di dare conto. Proprio in questa fase, sono principalmente due gli aspetti che la caratterizzano: in primis la fantascienza si fa voce di quell’ideologia modernista che crede sistematicamente all’onnipotenza della scienza e della tecnica, il cui sguardo è sempre rivolto al futuro, ed individua nel progresso tecnologico la chiave per cambiare il mondo; secondariamente essa si pone come tramite necessario tra la società che persegue tali ideali e l’individuo. Se la scienza, da Galileo in poi, ha prodotto un continuo shock culturale, allontanando da sé l’uomo, la fantascienza “nei suoi esempi migliori getta un ponte tra le due culture in conflitto e realizza quell’integrazione umanizzante tra scienza e uomo[6] che cerca di sanare il conflitto mitico su cui tutta la modernità si fonda. È in questo contesto che si inseriscono i “padri” della fantascienza di stampo filosofico-letterario: dai racconti metafisici di Edgar Allan Poe[7], che a detta di Suvin[8] sottolinea per primo la necessità della verosimiglianza e dell’analogia nel racconto meraviglioso, al scientific romance di Jules Verne[9] (promotore della fiducia nella scienza positiva cui metafora è il “viaggio straordinario”, nonché primo divulgatore del genere) e di Herbert George Wells[10] (la cui letteratura è caratterizzata da parabole, o favole ideologiche, che, secondo Suvin[11], devono la loro poesia alla “stupefacente trasformazione della cognizione scientifica in cognizione estetica”; influenzato dalle teorie di Darwin, inoltre, sarà il primo a sottolineare come, una volta esaurite le sfide, “il progresso può avere come risultato la degenerazione”[12], constatando i limiti della scienza).

I <PULP MAGAZINES>

Può essere utile a questo punto distinguere due tradizioni, distinte ma in parte convergenti, di letteratura fantascientifica nella sua fase iniziale: da un lato troviamo, di stampo filosofico-letterario, l’asse “Moro-Swift-M. Shelley-Poe-Verne-Wells” descritto da Suvin e fin qui raccontato attraverso i diversi exemplum; dall’altro troviamo invece una corrente sviluppatasi sulle riviste americane specializzate – i cosiddetti pulp magazines – a partire dagli anni ’20 del Novecento, che proprio rifacendosi alla precedente tradizione, si inserisce nell’ambito della letteratura popolare, con l’obiettivo di diventare una letteratura “di genere”. È in quest’ultima corrente che ricordiamo Hugo Gernsback (fondò nel 1926 “Amazing Stories”, prima rivista destinata ad accogliere esclusivamente episodi di science-fiction, in genere estratti di romanzi di Verne, Wells o racconti[13] di Poe e successivamente produzioni di scrittori emergenti, andando così a definire il genere come forma letteraria autonoma) e John W. Campbell (scrittore di racconti fantascientifici, diresse la rivista “Astounding” dal 1938 al 1950, a detta di molti studiosi periodo identificabile come la golden age, l’età d’oro della fantascienza). È importante sottolineare come i contenuti della science-fiction nei pulp magazines si modificarono nel corso di questa prima fase di sviluppo: se fino a Gernsback il racconto fantascientifico si era canonizzato in tre moduli a formula ripetitiva – quali l’esplorazione extraterrestre (in cui un individuo è proiettato in un’altra dimensione ed entra in contatto con “l’alterità aliena”), la space opera (il cui nucleo semantico è la narrativa avventurosa, raccontata tramite il “mito della frontiera” americano) e il fantasy (anche chiamato sword and sorcery, in cui prevale l’uso della magia e la presenza di creature mostruose, non terrestri) – con Campbell si assiste ad un profondo mutamento della semantica fantascientifica, in quanto l’involucro fantastico diviene il mezzo tramite cui affrontare i temi dell’attualità, in un’ottica multiprospettica che abbraccia la sociologia, la psicologia e la filosofia. Come sostengono anche Giovannini e Minicangeli[14], Campbell “traghetta così la fantascienza dalla space opera classica dei pulp a un tipo di narrativa più moderna e matura (…) La fantascienza non è più solo la battaglia del bene contro il male, storie di scienziati pazzi o di robot: iniziano a comparire personaggi credibili, ambientazioni plausibili e la tecnologia diventa centrale”. È in questo contesto che si affacciano al panorama della produzione fantascientifica nuovi autori capaci di forgiare un immaginario fondato sull’espansione illimitata della tecnologia e dello sviluppo umano: se Alfred van Vogt[15] narra favole volte a mitizzare la scienza e profetizza l’avvento dei “superuomini”, Isaac Asimov[16] scrive le tre leggi della robotica – destinate a mutare profondamente il rapporto tra uomo/non-uomo e tra naturale/artificiale – aprendo tutto il panorama di riflessione teorico della fantascienza più matura.

LA <NEW WAVE>

Sarà la Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, a ridimensionare queste spinte moderniste sotto il peso inevitabile di una sconfitta tutta “umana” nell’uso della bomba atomica[17]: si incrina la fiducia incondizionata nello sviluppo della scienza – che avrebbe dovuto consegnare all’uomo onnipotente un futuro privo di pericoli e invece ne sancisce in modo inequivocabile il fallimento – e si incrina la fiducia dell’uomo per l’uomo – sentimento che doveva corroborarsi in prospettive egalitarie e totalizzanti, a loro volta consumate dai totalitarismi che sconvolsero il mondo nel corso del Novecento. La produzione fantascientifica riflette ora le paure e le delusioni dell’uomo moderno, che sulla scia di Campbell utilizza “l’involucro fantastico come critica al presente”, costretto com’è a fare i conti anche con la paura della Guerra Fredda: è la fioritura del <versante disforico>, trattato nel capitolo 3.1, con prodotti apertamente di “dissidenza” – avevamo citato George Orwell [“La fattoria degli animali” (1945) e “1984” (1949)], Ray Bradbury [“Fahrenheit 451”[18] (1960)] e Philip K. Dick [“La svastica sul sole” (1962) e “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” (1968)], ma è impossibile non parlare anche di James Graham Ballard[19]. Quest’ultimo, insieme a Dick, rappresenta nella seconda metà degli anni ’60, uno dei più importanti esponenti della new wave, considerabile alla stregua di altri gruppi d’avanguardia letteraria nati in ambiti diversi: pur mantenendo l’approccio più recente, di indagine e critica contemporanea, la new wave vuole svicolarsi dai canoni tipici del genere fantascientifico indagando l’uomo, nell’interezza della sua psiche, rapportato ad un ambiente alienante – il cosiddetto <spazio interno> di Ballard. È il salto di qualità che la fantascienza aspettava, capace cioè di elevarsi all’occhio dei critici quale vera e propria letteratura di genere – migra infatti sempre più dalle riviste alle case editrici. È l’abbandono dei moduli narrativi tradizionali – che seppur messi in secondo piano a partire da Campbell, restano nell’ossatura della produzione – e tale abbandono è sancito anche dalla ricerca di nuove formule sperimentali, identificate nelle tecniche narrative del monologo interiore o del flusso di coscienza.

IL <CYBERPUNK>

Si apre, nel mondo della fantascienza, un dibattito senza precedenti: il rapporto controverso tra ciò che è “reale” e ciò che è “immaginario” nell’era della riproducibilità tecnica – rapporto che non prevede una chiara distinzione, ma piuttosto una sovrapposizione di piani riconducibile ai concetti di iperrealtà[20] o transrealismo[21]. È questo il passaggio gnoseologico definito postmodernismo, e caratterizzato proprio da variazioni prospettiche, sguardo soggettivo, relativismo e ripiegamento su di sé delle produzioni artistiche – che rifiutano di riferirsi al mondo esterno “reale” in virtù della sua delegittimazione. Se il postmodernismo innesta così le sue radici a partire dalla spinta new wave, solo con lo sviluppo della fantascienza cyberpunk tipica degli anni ‘80 svilupperà appieno le sue tematiche, estremizzandole: è in questo frangente che si inseriscono autori quali William Gibson[22] o Bruce Sterling[23]. Il panorama della società è in mutamento: proprio in quegli anni infatti si va incontro alla digitalizzazione massiccia dei media e a tutti quei fenomeni che ne incentivano la convergenza – in cui la pervasività tecnologica è massima rispetto allo spazio sociale, a discapito dell’individualità dei dispositivi. La risposta cyberpunk, al cui vertice teorico si staglia Sterling, è la teorizzazione di una “dissidenza” fondamentalmente antitecnologica e antiscientifica – come sostengono anche Giovannini e Minicangeli[24], “per i cyberpunk la tecnologia è qualcosa da vivere appieno cercando di impossessarsene per farne un grimaldello contro il potere: almeno negli intenti, il fenomeno svela una matrice anarchica e nichilista”. Altre tematiche fondamentali del cyberpunk sono il cyberspazio (un non-spazio in cui vengono proiettate le coscienze digitali) e l’ibridazione uomo-macchina, a sua volta sviluppatosi in due rami quali il cyborg (ovvero l’organismo organico/inorganico) e la macchina “pensante” (l’intelligenza artificiale). Se ufficialmente il movimento cyber si chiude con la produzione a quattro mani di Sterling e Gibson “La macchina della realtà” (1990), è altrettanto vero che diversi autori venuti dopo ne hanno ripreso e ampliato le tematiche, aprendo un panorama inedito – in cui convivono spinte moderniste e postmoderniste e in cui la produzione fantascientifica cerca di dare conto di una realtà sempre più complessa e profondamente interconnessa.


NOTE

[1] Il Romanticismo è quel movimento, o corrente di pensiero, che – in reazione all’Illuminismo e al Neoclassicismo, cioè alla razionalità e al culto della bellezza classica – contrappone la spiritualità, l’emotività, la fantasia, l’immaginazione, e soprattutto l’affermazione dei caratteri individuali d’ogni artista. Nuclei fondanti di tale corrente sono la teorizzazione dell’assoluto (come spinta percepita e vissuta straziantemente dal soggetto, costretto in uno stato eterno d’infelicità), il concetto di sublime (descritto come i sentimenti di straniamento e di terrore provati dall’individuo nella contemplazione dell’infinito) e la tensione verso questo assoluto (“Sehnsucht” dal tedesco). Altre componenti teoriche costitutive si riscontrano nel nascente nazionalismo (in opposizione all’universalismo illuminista), nell’esotismo (o fuga dalla realtà verso luoghi ameni appartenenti al passato) e nella riscoperta di una religiosità intimista (in opposizione al rifiuto di ogni dogma previsto dall’Illuminismo).

[2] E. Burke, Un’indagine filosofica sull’origine delle nostre idee di Sublime e Bello (1756-1759) trad. it. Milano, 1945

[3] Da M. W. Shelley, Frankenstein or The Modern Prometheus (1818), Cideb, Genova 1994, p. 13. “The event on which the interest of the story depends is exempt from the disadvantages of a mere tale of spectres or enchantement. It was recommended by the novelty of the situations which it developes; and, however impossible as a physical fact, affords a point of view to the imagination for the delineating of human passions more comprehensive and commanding than any which the ordinary relations of existing events can yeld”.

[4] C. Pagetti, Il senso del futuro. La fantascienza nella letteratura americana (2012) Mimesis

[5] Teoria sostenuta da Ferrini in: F. Ferrini, La «Musa stupefatta» o della fantascienza (1974), Edizione G. D’Anna

[6] A. Scacco, Fantascienza umanistica (2002), Editrice Tipografica

[7] Nella produzione di stampo fantascientifico di Edgar Allan Poe citiamo i racconti: “Storia di Arthur Gordon Pym” (1830), “Conversazione tra Eiros e Charmion” (1838); “L’incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall” (1835), “Mellonta Tauta” (1850).

[8] D. Suvin, Le Metamorfosi della fantascienza. Poetica e storia di un genere (1979) trad. it. Il Mulino, 1985

[9] Nella produzione di stampo fantascientifico di Jules Verne citiamo la raccolta di romanzi e racconti “Viaggi straordinari” (1863 – 1915) contenenti: “Viaggio al centro della Terra” (1864), “Dalla Terra alla Luna” (1865), “Ventimila leghe sotto i mari” (1869 – 1870) e “Il giro del mondo in 80 giorni” (1873).

[10] Nella produzione di stampo fantascientifico di H. G. Wells citiamo: “La macchina del tempo” (1895), “L’isola del Dr. Moreau” (1896) e “La guerra dei mondi” (1898).

[11] D. Suvin, Le Metamorfosi della fantascienza. Poetica e storia di un genere (1979) trad. it. Il Mulino, 1985

[12] F. Giovannini, M. Minicangeli, Storia del romanzo di fantascienza. Guida per conoscere e amare l’altra letteratura (2003), Castelvecchi, pp. 14

[13] La forma narrativa breve del racconto sarà caratterizzante dei nascenti pulp magazines americani, nati con “Amazing Stories” di Gernsback e fondamentali nella costituzione del genere <fantascientifico>.

[14] F. Giovannini, M. Minicangeli, Storia del romanzo di fantascienza. Guida per conoscere e amare l’altra letteratura (2003), Castelvecchi, pp. 20

[15] Nella produzione di stampo fantascientifico di Alfred E. van Vogt citiamo: “Crociera nell’infinito” (dal 1939 al 1950), “Slan” (1940) e “Gli uomini ombra” (1953).

[16] Nella produzione di stampo fantascientifico di Isaac Asimov citiamo: il “Ciclo dei Robot” (dal 1950 al 1985, contenente “Io, robot” del 1950) e il “Ciclo delle Fondazioni” (dal 1951 al 1988).

[17] L’impiego delle armi nucleari americane avvenne il 6 agosto 1945, con lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima, e il 9 agosto 1945, su Nagasaki: le conseguenze di tali bombardamenti furono centinaia di migliaia di morti, cui vanno sommati gli hibakusha (coloro che sopravvissero all’esplosione ma si ammalarono negli anni successivi a causa della radioattività), che nei successivi 57 anni, furono più di 285.000.

[18] L’opera di Bradbury non ha mai nascosto di essere apertamente una denuncia contro il maccartismo – periodo della storia degli Stati Uniti risalente ai primi anni ’50 del XX secolo caratterizzato da un clima di sospetto generalizzato e di <caccia alle streghe> determinato dall’anticomunismo.

[19] Nella produzione di stampo fantascientifico di J. G. Ballard citiamo: “Tetralogia degli Elementi” (dal 1961 al 1966), “Dittico de L’impero del sole” (dal 1984 al 1991) e “La mostra delle atrocità” (1970).

[20] Baudrillard, riferendosi alla società contemporanea tecnologica e multimediale, introduce la definizione di “iperreale”. L’iperreale è per lui più reale della vita reale: esso è costituito da “simulazione” e “simulacri”, immagini multimediali, realtà virtuale. Secondo il filosofo, i mass media trasformano il reale in iperreale, coprendo il reale con una “patina” superficiale, patina “predominante” e caratteristica della “società dell’immagine” – da J. Baudrillard, Simulacri e impostura (1981) a cura di M.G. Brega, Pgreco, 2008

[21] Il transrealismo è una corrente letteraria che opera una commistione tra l’inserimento di elementi fantastici – tipici della science-fiction – e le tecniche per descrivere le percezioni nell’immediato – tipiche del realismo naturale. Il transrealismo è stato ufficializzato nel 1983 con un manifesto scritto dall’autore sci-fi Rudy Rucker, influenzato dal romanzo “Un oscuro scrutare” (1977) di Philip K. Dick.

[22] Nella produzione di stampo fantascientifico di William Gibson citiamo: “Trilogia dello Sprawl” (dal 1984 al 1988 in cui rientra anche il premiato “Neuromante” del 1984), “La macchina della realtà” (scritto insieme a B. Sterlin nel 1990) e “La notte che bruciammo Chrome” (1986, antologia contenente “Johnny Mnemonico” del 1981).

[23] Nella produzione di stampo fantascientifico di Bruce Sterling citiamo: “Mirrorshades” (1986, antologia di racconti cyberpunk), “La matrice spezzata” (1985), “Isole nella rete” (1988), “La macchina della realtà” (1990, scritto insieme a W. Gibson) e “Caos USA” (1998).

[24] F. Giovannini, M. Minicangeli, Storia del romanzo di fantascienza. Guida per conoscere e amare l’altra letteratura (2003), Castelvecchi, pp. 29

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