Racconti
La distanza tra il Bene e il Male

La distanza tra il Bene e il Male

Non sono una brutta persona: il più delle volte, se ho ferito o danneggiato qualcuno, l’ho fatto inconsapevolmente, e ho sempre cercato di rimediare, perlomeno chiedendo scusa. Certe volte ho imprecato – suvvia! non posso credere che nessuno di voi lo faccia! – certe volte l’ho fatto perché ero arrabbiato, è vero, e altre per il semplice gusto di farlo. Capita anche questo.

Non sono davvero una brutta persona: porto i miei figli in chiesa la domenica e compro sempre loro un grande gelato nel pomeriggio, quando andiamo ai giardini. Amo terribilmente mia moglie, anche se qualche volta l’ho tradita; ma ribadisco: se l’ho fatto, l’ho fatto inconsapevolmente e non avrei mai voluto farlo. No, io la amo terribilmente. Abbiamo un cane, si chiama Rex ed è proprio un bel cane. Abbiamo una bella casa, ha due piani e un terrazzo.

Non posso proprio essere una brutta persona, nemmeno se lo volessi, sono stato troppo fortunato a suo tempo e io sono un uomo buono e sincero. Per essere sincero totalmente, ogni tanto ho mentito: ma è stato necessario ed erano bugie piccole, innocenti che non hanno mai fatto male a nessuno. Per dimostrarvi che non sono una brutta persona vi dirò che è per aiutare gli altri che ho scelto il mio lavoro: sono un poliziotto. Un poliziotto onesto, che si fa in quattro per arrestare le brutte persone.
Ne esistono di malintenzionati.

Quello che sto inseguendo adesso per esempio: un tale ha rubato in un negozio mi pare – mi hanno chiamato dalla centrale e così hanno detto – e ora la mia auto sta sfrecciando impavida per il quartiere, cercandolo. E’ da un’ora che giro e ancora niente. Ora che mi fermo al semaforo ricontrollo l’identikit. Il ragazzo che attraversa, attraversa correndo. Un occhio lo segue, l’altro sull’identikit.

Non respiro. Esco dalla vettura come un pazzo ora e gli urlo di fermarsi, i miei piedi divorano l’asfalto; il ragazzo si è buttato in un giardino e io dietro, come un segugio maledettamente veloce – tanto veloce che non riuscite a vedermi perché sono anche maledettamente bello, perché la mia bellezza è tutta qui, quando faccio il mio lavoro. La maglia lacera e sporca del ragazzo scivola di fronte a me, sempre più vicino, lo sto raggiungendo – uno steccato, un altro giardino ma io dietro, sempre dietro – non corro neanche più adesso, volo – “Devo prenderlo”: l’unico pensiero. Un secondo steccato, ma la maglia del ragazzo ci resta aggrappata e lui, rotolando per terra, finalmente si ferma. Gli sono addosso, gli punto la pistola alla testa, ho il fiato corto, gli occhi iniettati di sangue per lo sforzo.

Ne esistono di brutte persone, eccone una. Ma l’ho presa. L’ho presa.
Il ragazzo mi guarda, ha occhi grandi per la paura, ma avvicina lentamente una mano alla tasca dei pantaloni. Gli urlo di alzare le mani, ma la sua mano continua a muoversi. Cerco di intimidirlo, alzo la voce ma qualcosa va storto. Lui agisce di scatto, per fare più in fretta ma nei suoi occhi non c’è cattiveria e – quando succede – ci vedo dentro solo fierezza e umiltà, le stesse incommensurabili di chi sussurra al carnefice “Non ho mai ucciso”.

Nello stesso momento in cui vuole rendermi l’oggetto del furto, una piccola pagnotta, premo il grilletto.

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